San Giorgio Martire onlus

È un labirinto ‘Caerdroia’ il misterioso grafite della chiesa San Giorgio Martire

di Giancarlo Pavat

Chi ha avuto modo di conoscermi, o ha seguito i miei lavori, saprà certamente che io intendo la “ricerca” come un lavoro di equipe, come un continuo confronto con altri ricercatori e appassionati, uno scambio di informazioni, curiosità, novità, a maggior ragione in un campo come quello delle ricerche sui labirinti, molti dei quali dimenticati dalla storia e dagli uomini e sperduti in siti e località fuori mano, poco note.

Non basterebbe una intera umana esistenza per setacciare l’Italia al fine di scovare nuovi esemplari. Giocoforza, per poter avere un quadro il più possibile completo, non è possibile prescindere da una intensa opera e attività di condivisione. Ed è proprio in questo modo che un paio di anni fa venni a conoscenza dell’esistenza di un esemplare di labirinto rarissimo per il nostro Paese. Un Labirinto presente in una chiesa medievale del paese di Petrella Tifernina (CB) in Molise. Chiesa dedicata al cavaliere uccisore  di draghi per antonomasia: San Giorgio.

 

Caerdroia incisa su una delle colonne della Chiesa di San Giorgio Martire di Petrella Tifernina

 

È stata la ricercatrice e scrittrice bergamasca Marisa Uberti a informarmi sulla scoperta di questo Labirinto ed a fare in modo che potessi mettermi in contatto con lo scopritore. Ovvero il giovane molisano Mario Ziccardi, studioso di Storia dell’Arte.

Petrella Tifernina è un centro abitato della provincia di Campobasso, dista dal capoluogo di regione circa 20 chilometri in direzione nord; il paese è situato nella media valle del fiume Biferno, a destra del corso d’acqua a circa 650 metri sul livello del mare.

ll territorio di Petrella è attraversato da una fitta rete di percorsi viari che hanno reso questo centro uno snodo di un certo rilievo, inoltre non è lontano dai percorsi tratturali principali quali il Lucera-Casteldisangro e il Celano-Foggia”.

Già da questa breve descrizione si intuisce come la località in cui si trova il Labirinto, fosse un punto di passaggio per viandanti, pastori, mercanti e, certamente pure, pellegrini.

Il monumento principale di Petrella Tifernina è la chiesa di San Giorgio; vero e proprio gioiello artistico ed architettonico del Molise. Ma pure uno scrigno colmo di segreti e misteri.

Basti pensare che secondo una accreditata leggenda locale, nel Medio Evo la chiesa avrebbe ospitato la Sacra Sindone prima che venisse portata in Francia. Non per nulla, nella navata sinistra è esposta una riproduzione a grandezza naturale del misterioso Sudario di Torino.

La chiesa fu edificata tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII secolo (e precisamente per volere del magister Epidius attorno al 1211) probabilmente su precedenti preesistenze (forse un antico luogo di culto sannita) ed è un pregevole esempio di architettura romanica che trova nell’edificio particolari e inedite caratteristiche che contraddistinguono la sua unicità in un contesto rurale come storicamente appariva quello molisano” spiega Ziccardi “L’edificio cultuale ha pianta parallelepipeda con tre navate absidate, il presbiterio rialzato come la sagrestia voltata a crociera accessibile dall’abside della navata di sinistra

Secondo l’architetto Calvani, direttore dei lavori di restauro del 1959, la zona absidale sarebbe stata costruita sulle strutture di un precedente edificio, impropriamente chiamato cripta di San Giorgio, conservandone anche l’orientamento originario.

Le particolarità all’interno della chiesa sono molteplici: la particolare forma della planimetria è inusuale nelle chiese in stile romanico”.

Le tre navate sono separate da robusti pilastri di pietra, uniti tra loro da archi a tutto sesto; elementi disposti secondo un ordine asimmetrico. Certamente consapevolmente e deliberatamente cercato e voluto, il cui motivo, però ci sfugge.

Quando nell’ottobre del 2015, dopo numerosi rinvii per svariati motivi ed impedimenti, sono riuscito a visitare la chiesa di San Giorgio, assieme all’amico Gaetano Colella (uno dei curatori di questo sito, nonché membro del “Mistery Team”) e ad Mario Ziccardi (che ringrazio per averci fatto da guida in quella splendida domenica d’ottobre), sono rimasto davvero colpito dalla cifra iconografica dei vari bassorilievi, sia interni che esterni, dell’edifico sacro.

E mi riprometto di dedicarmi quanto prima ad uno studio approfondito dei messaggi nascosti che certamente veicolano. Vi sono infatti “Fiori della Vita”, Nodi di Salomone cruciformitriscelidoppie spiraliesseri zoo ed antropomorficreature fantastiche e mostruose, come la sirena bicaudata o grifoni. E ancora, Adamo ed Eva assieme al Serpente tentatoreprotome bovine, i pavoni che si abbeverano alla Coppa della Vita.

In pratica la chiesa di San Giorgio si presenta come una sorta di summa dei simboli dell’arte romanica; vi ritroviamo tutto il repertorio che l’arte sacra dell’Alto Medio Evo attinse dai miti e dalla simbologia pagana.

E tra tutti questi simboli non poteva mancare quello del Labirinto.

Si trova sul primo pilastro a sinistra per chi entra dall’ingresso principale, quello su largo canonico Fede.

Tra i tanti simboli riconoscibili all’interno dell’edificio sacro, il labirinto è quello che è passato più inosservato: è inciso sulla prima colonna a sinistra ad una altezza di circa un metro e mezzo dal pavimento, ha dimensioni di circa quarantaquattro centimetri di larghezza e trentacinque centimetri di altezza” sottolinea Ziccardi.

Ma il Labirinto di Petrella Tifernina non è come tutti gli altri esemplari sparsi in giro per l’Italia. Costituisce un vero e proprio unicum. Infatti, al momento è l’unico esemplare noto nel nostro Paese riconducibile alla tipologia chiamata “Caerdroia”.

Con questo termine vengono indicati in Inghilterra, e soprattutto nel Galles, dei particolari labirinti unicursali spiraliformi, riconducibili comunque alla tipologia “classica” ma caratterizzati dal fatto che alcuni tratti dei corridoi sono rettilinei.

Lo evidenzia anche Ziccardi “La particolarità più interessante è la parte inferiore rettilinea, caratteristica propria di questa tipologia di labirinto”.

Ma che cosa significa “Caerdroia”?

Il nome potrebbe derivare dal gaelico “Cairn”, carn”. Termine con cui si indica un cumulo di pietre posto a ricordo di qualche evento o personaggio, e contiene la radice celtica “car” o “kar”, riferito a pietra. Da cui, come ho spiegato nel libro “Fino all’ultimo Labirinto”, “i nomi di regioni italiane ed europee, rocciose o con aspri rilievi, che hanno visto una presenza celtica o di popolazioni ad essa affini prima della conquista romana. Come il “Carso” (il brullo altipiano alle spalle di Trieste), “Karst” in tedesco, “Kras” in slavo; oppure “Carnia” (“Cjargne” in friulano, la regione montuosa del Friuli-Venezia Giulia) o ancora la regione austriaca della “Carinzia”, “Kärnten” in tedesco; o la “Carniola”, “Krain” in tedesco, il nome medievale dell’attuale Repubblica di Slovenia. Mentre “Droia” sarebbe semplicemente la corruzione, appunto, del nome “Troja”. Quindi “Città di pietra” o “con le mura di pietra”.

E “Trojaborg” (plurale “Trojaborgar”), “Fortezza di Troia”, vengono chiamati in Svezia i labirinti di pietre “baltici”. Nome che ritroviamo anche in Gran Bretagna: “Troy Town”, sempre a proposito di labirinti della tipologia “classica

Quindi il “Caerdroia” (e il “Trojaburg” e il “Troy Town”) non sarebbe altro che la rappresentazione stilizzata, allegorica, di una grande città dalle possenti muraglie.

Correttamente il Santarcangeli (Santarcangeli, P. “Il libro dei labirinti”, Sperling & Kupfer, 1984) sottolinea che questa città non poteva che essere Troia. La “fortezza dell’assedio par excellence, il luogo in cui ci si prefigge di entrare e in cui effettivamente si entra con l’astuzia, opponendo abilità ad abilità, inganno ad inganno”.

Non va scordato che, mentre di Cnosso e Creta, patria del Mito del labirinto “classico”, nel Medio Evo s’era ormai persa ogni traccia, di opere letterarie con riferimenti e citazioni, o addirittura dedicate alla città cantata da Omero, l’Europa medievale occidentale era decisamente ben fornita.

Addirittura i Britanni si ritenevano discendenti diretti di Bruto: un altro figlio dell’eroe troiano Enea. Il quale si sarebbe rifugiato nelle isole britanniche dopo la distruzione della sua città Lo racconta, ad esempio, Goffredo di Monmouthnella sua “Historia Regum Britanniae” del  XII secolo.

Ne ho parlato diffusamente nel capitolo dedicato ai “Labirinti Baltici” del libro “Fino all’ultimo Labirinto” (2013);

Un trovatore francese del XII secolo, Benoit de Sainte More, scrisse un poema di ben trentamila versi dedicato a “La destruction de Troyes”. Konrad von Wurzburg, nel 1280, iniziò a scrivere una sua opera sulla “Guerra di Troia”, rimasta incompiuta dopo essere arrivata a quarantamila versi. Non mancano gli italiani, tra cui Guido delle Colonne, che nel 1287 scrisse un romanzo in prosa, in lingua latina, dal titolo “Historia destructionis Trojae”. Quasi tutte queste opere, e molte altre, avevano come fonte un’apocrifo del IX secolo (ma forse risalente ad almeno due secoli prima, visto che sembra fosse noto ad Isidoro di Siviglia vissuto nel VII secolo), “Historia de Excidio Trojae” attribuito al frigio Darete”.

Inoltre, nel Medio Evo, diverse città europee “scoprirono” di avere antenati e fondatori illustri tra i profughi troiani. E’ possibile citare Bonn in Germania e, in Francia la stessa Parigi e, ovviamente, Troyes. Patria di Chretien, l’autore di “Perceval le Gallois ou la Conte du Graal”, il più grande poeta europeo medievale prima della nascita di Dante Alighieri.

Un altro riferimento medievale alla città di Troia lo si ravvisa nel nome dell’uccisore di Sigurd (l’eroe della mitologia norrena, Siegfried in tedesco); ovvero “Hagen von Troja” (o “von Xanten”, dal nome del fiume che scorreva presso la città di Priamo).

Un Labirinto, quindi, che non ci dovrebbe stare in un borgo del Molise. Eppure esiste, eccome!

Il “Caerdroia” di Petrella Tifernina si presenta con  undici corridoi nella parte superiore e con tutta probabilità risale al Medio Evo. Anche se una datazione precisa appare impossibile.

Un terminus post quem è sicuramente la costruzione della chiesa, non ci sono, per ora, indizi che potrebbero far credere che la colonna sia di reimpiego” spiega Ziccardi che avanza anche alcune considerazioni sulla realizzazione stessa del labirinto, anche a cagione della posizione in cui si trova.

Se prendiamo per sicura l’esecuzione dopo l’edificazione della chiesa, molto probabilmente l’incisione venne fatta in accordo con l’autorità ecclesiastica coeva; infatti l’impianto è coerente con il blocco litico su cui è stata realizzata ponendo in essere un progetto studiato e voluto.

La posizione, inoltre, è accessibile e visibile a chi entra dall’ingresso principale verso la navata di sinistra ed è inverosimile che qualcuno, di nascosto, abbia inciso indisturbato il graffito”.

Quindi un Labirinto quasi sicuramente (io toglierei anche il “quasi”) inciso per essere visto da tutti coloro che entravano nella chiesa, sia fedeli del posto che stranieri capitati a Petrella Tifernina in quanto impegnati nell’arduo cammino verso la meta che si erano preposti. Fosse una fiera, una città in cui vendere i propri prodotti della terra, o manufatti oppure il bestiame, oppure il più ambito, agognato, santo, di tutti i traguardi per l’Uomo medievale: ovvero Gerusalemme e la Terrasanta.

Che in un epoca quasi del tutto priva di carte geografiche (o comunque assolutamente imprecise) non potevano che essere dietro quel monte, oltre quel corso d’acqua, appena dopo l’orizzonte velato da nebbia e foschia.

È forse questa la chiave di lettura del perché venne realizzato il “Caerdroia” di Petrella Tifernina”. Una allegoria, un “memento” del lungo viaggio intrapreso. Ma un viaggio cominciato da dove!? La particolare tipologia dell’esemplare fa sorgere una ipotesi. Che l’esecutore, pur autorizzato dal clero della chiesa di San Giorgio, non fosse di quelle parti. Ma che venisse, appunto, dalle Isole Britanniche.

Negli ultimi anni sono stati scoperti in Italia centrale e meridionale diversi simboli ritenuti peculiari ed esclusivi delle regioni dell’Europa settentrionale o addirittura dall’area della Fennoscandia (Scandinavia e Finlandia).

Solo per fare un esempio, voglio ricordare la straordinaria scoperta, effettuata Il team archeo-speleologico “ARGOD”, di una “swastika lappone” incisa sullo stipite destro del portale della Chiesa di San Cirillo di Carpino, piccolo centro del Gargano in Puglia. A confermare che quel particolare graffito fosse proprio una cosiddetta “swastika lappone”, detta anche “Mursunsydan” ovvero “Cuore di Tricheco”, sono stati gli stessi esperti dell’Università di Helsinki.

Scartata l’ipotesi che per un puro caso qualcuno in Puglia, nel Medio Evo, abbia voluto copiare un simbolo di terre così lontane, non resta che pensare che l’artefice sia stato qualche viandante o pellegrino proveniente da quelle lontane latitudini e culture.

Qualcosa di simile potrebbe essere successo anche per il “Caerdroia” graffito nella chiesa di San Giorgio. Anche il fatto che sia intitolata al Santo cavaliere uccisore del Drago può aver influito. Dopotutto non è forse il patrono dell’Inghilterra?

Scroll to Top
Skip to content